L’ultima ripresa

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di Maurizio Casu

La luce, questa luce così abbagliante.

Il brusio di mille anime che mi fissano, sottovoce commentano.

Non riesco a distinguere i tratti, solo luce e dolore.

Un rivolo di sangue cola caldo sul mio viso, lo sento scorrere dal sopracciglio spaccato, scende giù, accarezza la palpebra, poi l’occhio, lo zigomo e il mento.

Sangue e sudore si mescolano fino a formare una goccia che stanca si lancia in volo e precipita sui miei piedi nudi.

Il sole di maggio, il cielo terso, l’asfalto.

Le scarpe da ginnastica giacciono qualche metro più in la. Riesco a fissarne una, mi concentro, raccolgo le forze, l’asfalto brucia.

Un passo, poi un altro.

Un pugno mi colpisce in pieno volto, sento le nocche scrocchiare sul mio viso scavato.

Ho le ossa dure. Le ossa dure e l’anima in fiamme.

Un suono squillante colpisce il timpano facendo vibrare martello, incudine e staffa, insinuandosi poi nel labirinto, sempre più in fondo, corre fino ai nervi uditivi e si trasforma in elettricità.

I miei occhi si spalancano.

La campanella.

Squilla.

È finita.

I ragazzi nel cortile corrono all’impazzata, in maniera disordinata.

La ricreazione è finita.

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